venerdì 11 febbraio 2011

Marc Chagall

Ho visto la mostra di Chagall all'Ara Pacis.
E, così, non posso che tornare a questo blog scrivendone.
Parlando di una mostra fatta abbastanza bene e di un uomo dalla vita interessante, proprio come quelle dei suoi coetanei, compagni di mestiere e di avventure.
Vite spesso vissute una sulla falsa riga dell'altra.
Negli anni ai quali, se potessi usufruire di una macchina del tempo, sarei felice di poter partecipare artisticamente. Anni di cui rimpiango il clima, seppure nel contorno pesante di guerre e rivoluzioni, artisticamente vivo e felice.


E, quindi, Chagall si inserisce in questo quadro in modo vagamente anomalo.
Come se camminasse nel mondo delle arti sempre in punta di piedi. Impara osservando gli altri, ma non lo vuole svelare. Tacendo forse pure a se stesso da dove l'ispirazione gli arrivi. Sa, per certo, di non voler essere segnato nell'appartenenza stilistica ad una corrente piuttosto che a un'altra.
Per questo mi sono posta una domanda: se un artista dice di non voler essere classificato come appartenente a nessuna corrente, lo si può accontentare anche se la sua arte ha evidenti tratti in comune con anche più di una di queste?


Insomma, Chagall è un uomo attaccato alle sue tradizioni e alle sue radici, che non trascura mai, lungo tutta la sua opera.
Trasporta sulle tele gli avvenimenti della sua storia, in una forma onirica, sospesa. Come un Mirò figurativo. E così che il sogno, nelle sue tele, il sogno del viaggio, non si distacca mai da elementi molto reali e molto terreni: come le mucche, animali, oggetti d'ogni tipo, strumenti musicali.
Trova la sua realtà del movimento.


Pezzo forte dell'esposizione è il contributo video, che ci regala il racconto di tutto il suo percorso, umano e artistico. I suoi spostamenti, gli incontri, come quello con Guillaume Apollinaire, che io amo, e che gli etichetta, tra l'altro, la zavorra di surnaturel (che sarà semplificato, poi, in surrealismo).
Ci sono le tavole che illustrano le poesie di Chagall, vere e proprie chiavi per comprendere la sua arte. Colui che parla senza dire nulla, è il titolo.
Perché Chagall parla con la sua opera.
Ci racconta un mondo da cui vola via, un mondo che osserva dall'alto, quello della Russia dilaniata dalla povertà, dalla Rivoluzione, dalla Guerra e che lui osserva, infine, dagli Stati Uniti, dov'è costretto a scappare.
Racconta l'ebraismo, come continuo viaggio, spostamento, esodo di folle.


Vale la pena vedere la mostra perché è Chagall.
Ma, purtroppo, si riconferma la mia idea per cui tutto quello che è organizzato all'Ara Pacis sia, sostanzialmente, tirato via.

4 commenti:

  1. Non ti è venuto in mente anche quanto possa essere egoista la vita di un vero artista?
    New York mentre gli altri ebrei morivano in Europa, dopo che aveva lasciato la sua Russia.
    Che cosa strana da quando ho visto quel documentario non vedo l'ora di tornare a Nizza per vedere il Museo del Message Biblique

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  2. Ma chi deve affermare se stesso è , per forza di cose, vagamente egoista.
    Io trovo che abbia fatto bene.

    Ehm..sono stata a Nizza sei anni fa, ricordo solo il negozio di Petit Bateau e un mare in burrasca.. :(

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  3. Non era un giudizio ma una riflessione.
    Le immagini di lui, Duchamp e gli altri mi sembravano quelli di bambini confinati in un asilo per privilegiati della storia.

    Io ricordo anche meno di Nizza. Ma a Nizza ci si passa comunque, in un modo o nell'altro

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  4. Certo, si fa anche così, per parlare.
    La mia era una constatazione sulla base della tua riflessione, per altro giusta.
    Gli artisti sono così, come chiunque debba affermare se stesso.
    Anche Berlusconi, per esempio, al di là del suo altruismo da sempliciotto, non riesce a non essere egoista..

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