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venerdì 20 aprile 2012

Schifezze

Non ho la laurea in politologia, è vero.
Ma non serve alcuna laurea per capire quello che sta succedendo.
Non crediate a niente di quello che potrete leggere sui giornali o di quello che potrete sentire guardando la televisione. E non crediate nemmeno alla rete (che poi le notizie son le stesse).
La politica non esiste più, e sono stati gli stessi partiti, con i loro vergognosi esponenti, ad ucciderla.
Siamo arrivati ad un punto di non ritorno, e non serve un governo tecnico ("non di parte") a fare i miracoli.
Perché di interessi vivono anche loro, come il resto della "ex" (possiamo provare a dirlo?) classe dirigente del paese.
Ci vuole serietà.
E il problema è che non ho nemmeno un nome in mente da associare alla parola serietà.

sabato 11 febbraio 2012

L'inganno dell'arte, del sistema arte.

Confusione e privazione di senso nell'arte contemporanea

Se si vanno a rivedere le parole di Filippo Tommaso Marinetti all’epoca della stesura del Manifesto Futurista ci si accorge immediatamente che qualcosa di molto grande è cambiato. Non tanto in termini di operazioni artistiche, ma in merito alle figure che ruotano intorno al mondo artistico.
Marinetti, di fatti, era convinto della superiorità della lungimiranza dell’artista, attribuendo allo stesso un ruolo di profeta , in quanto unico ad avere capacità di intuizioni folgoranti utili ad indirizzare la coscienza collettiva.
Ripensare a tutto ciò e farlo calzare al mondo/sistema dell’arte contemporanea non è possibile.
Cosa e quanto sia cambiato è evidente a tutti o, perlomeno, a chi di questo si interessa.
Lo spunto di riflessione mi viene dall’articolo di Jean Clair apparso il 5 febbraio scorso su Repubblica: L’inganno del critico. Articolo nel quale Clair ripercorre le tappe della nascita e dello sviluppo della figura del critico d’arte e della critica d’arte come disciplina.
La critica d’’arte è nata nel 18°secolo, quando le opere d’arte iniziano a non essere esclusivamente rivolte ad una committenza pubblica (“religiosa o principesca”), ma si fanno espressione di un gusto individuale e rivolte ad un pubblico profano. Ed è proprio il momento in cui le cosiddette “Belle Arti” sgombrano il campo in favore dell’arte come “qualità propria ed inimitabile di un individuo che si crede genio” (l’artista, appunto). Siamo intorno al 1750 e, parallelamente all’estetica, in conseguenza ad un’arte-oggetto per il piacere di privati, nascono la critica e il mestiere di critico.
Da lì in avanti il critico si è sostituito al resto, si è fatto interprete della mutezza delle opere d’arte, parlando per loro e, molto spesso, per l’artista stesso.
Si è fatto portavoce (e in taluni casi fautore) di manifesti esplicativi dei vari mari movimenti artistici, dettando regole e programmi (non più iconografici ma frequentemente “politici”). È avvenuto, nel tempo, quello che Clair nel suo articolo dice essere uno stato di “politica esteticizzata ed estetica politicizzata” cui l’artista si è trovato a dover obbedire.
Jean Clair, spiegando uno dei motivi che l’ha portato al “dimettersi” dall’essere critico d’arte, racconta la non troppo lunga vita del suo “Chroniques de l’art vivant”, rivista grazie alla quale ha sperimentato come sia possibile (in linea con l’ormai trito e ritrito McLuhan, il medium è il messaggio) lanciare sul mercato dell’arte nomi e prodotti a propria discrezione: non importa l’oggetto in sé ma la sua esposizione, il valore che si decide di attribuirgli e la pubblicità che gli si riesce a dare.
Clair ha descritto tutto ciò come “esperienza di arti fittizie e mercati ingannevoli”.
Una cosa non troppo diversa era stata detta da Vittorio Sgarbi durante l’intervista del 17 gennaio scorso per il Bollettino dell’Arte, nel corso della quale ha denunciato l’esistenza di una sorta di mafiosità nelle infrastrutture del mercato dell’arte, riferendosi proprio al ruolo giocato da alcuni critici contemporanei  nel condurre l’artisticità nel vicolo cieco del dogmatismo.
Lo stesso Sgarbi, in un articolo uscito su Il Giornale il 2 febbraio, riferendosi alla freschissima nomina di Massimiliano Gioni a direttore della Biennale di Venezia, ha trattato in modo davvero “critico” la figura del curatore indipendente che, “con il progredire dell’ignoranza e degli schieramenti  legati al mercato”, ha sostituito il critico.
Se, per tornare brevemente a Clair, la condizione essenziale per influenzare l’andamento della storia e del mercato dell’arte era l’accordo tra mercante, storico e critico d’arte , oggi vediamo sedersi in prima fila anche (e soprattutto) il curatore.
E qui, allora, mi collego all’articolo di Antonello Tolve (uscito sul numero di febbraio 2012 di ArsKey) intitolato “Cura della cura”. Articolo in cui Tolve prova a dare una definizione della figura professionale in questione. Il curatore: apparso negli anni ’90 del secolo scorso come prodotto di una frammentazione del lavoro, figura discutibile e discussa.
Figura professionale che avrebbe dovuto dare ordine in un quadro di ripensamento e modernizzazione delle esposizioni artistiche, nell’ideare e proporre percorsi espositivi e spunti di riflessione.
Il saggista-architetto Koolhaas parla di una professione “dove si approva o disapprova. Un sistema di selezione che espone e giudica” ed anche un ruolo che non può permettersi pietà, preparando “i nuovi talenti al loro debutto” salvo poi tagliarli fuori dalla scena “quando hanno esaurito l’attenzione del pubblico”.
È la logica dello spettacolo utile solo in quanto carburante della macchina economica e del ritorno personale di chi organizza o sponsorizza tutto questo.
A tal proposito si è espresso anche Charles Saatchi  che (pochi mesi fa su The Guardian) ha definito il nuovo mondo dell’arte contemporanea “profondamente imbarazzante”.
In un quadro più vasto, in cui se la prende con tutti, dai collezionisti al pubblico passando per i critici, Saatchi ha parlato di curatori insicuri e capaci di esporre esclusivamente “installazioni post-concettuali incomprensibili” apprezzabili solo dai loro colleghi “ugualmente insicuri”.
E ancora, un curatore descritto come gelido e opportunista, interessato unicamente al proprio percorso e alla propria carriera. Un “filippino della critica” l’ha definito Achille Bonito Oliva, un Globe-trotter dell’arte che dovrebbe piacere al premier Monti per la poca monotonia del suo lavoro e per il suo adattamento d’obbligo all’idea dell’uomo flessibile di Sennett (“i lavoratori di oggi sono sempre in cammino, costretti ad inseguire i repentini e imprevedibili mutamenti economici”).
Così, se per Jean Clair la fortuna delle opere d’arte, delle correnti e dei movimenti artistici sono decretate dall’unione di forze tra mercante, storico e critico; se per Vittorio Sgarbi esiste una mafia del mercato artistico diretto da alcuni critici ed operatori di settore; se Charles Saatchi dice che i collezionisti sono tanto ricchi quanto ignoranti per cui l’arte è solo affermazione sociale, che i curatori sono insicuri e inadeguati, che una parte di pubblico presenzia a tutte (veramente tutte) le vernici per disporre liberamente del buffet senza sapere per quale artista si stia facendo (la vernice); se Bonito Oliva parla del curatore come di un mercenario...
Se è tutto così, mi chiedo, colui che è l’artista (che la materia prima del sistema la produce, e che forse una qualche voce in capitolo dovrebbe ancora averla nel calderone dell’arte contemporanea) dov’è? Cosa fa? Quale gradino occupa?
Forse i vari curatori, i critici, gli storici (e così via) oggi sempre più simili a grandi manager, hanno dimenticato l'artista lungo la via della loro deprimente carriera.

venerdì 20 gennaio 2012

8° Bollettino dell'Arte 20genn2012

L'artista Piero Mottola, docente presso l'Accademia di belle arti di Roma (dove insegna Plastica ornamentale e Sound design) ci racconta il suo lavoro, attraverso l'estetica del suono, le radici nel Rumorismo di Luigi Russolo (anni '10 del '900, futurismo, avvento della macchina che porta il suo rumore a divenire parte integrante della sensibilità umana e ad essere elemento essenziale del linguaggio musicale).

Mottola gioca su un'ampia campionatura di rumori, che raggruppa in categorie.
Dall'incrocio dei rumori distingue dieci emozioni profonde.
Un tutto che sfocia nelle sue installazioni "emozionali" che uniscono spesso acustica e cromatismi, creando quelle che sono vere e proprie Passeggiate "emozionali".

Lungo la chiacchierata, l'artista ha raccontato l'esperienza avuta alla Biennale di Venezia 2011, negli spazi espositivi dell'isola di San Servolo.
Ha introdotto la partecipazione all'undicesima edizione della Biennale de L'Avana (che si terrà a Cuba, 11 maggio- 11 giugno), anticipando il proprio personale progetto e descrivendo l'idea complessiva della sezione italiana intitolata "L'etica prima della forma - Arte nell'epoca dei cambiamenti necessari" (nella quale vedrà al suo fianco Flavio Favelli, Valerio Rocco Orlando, Marinella Senatore e Giuseppe Stampone).

In chiusura, una manciata di secondi per la Città Ideale del Quattrocento, riferendoci al percorso tracciato da Philippe Daverio nel suo "Il Museo Immaginato".

P.S.: Inconveniente del citofono cui ho dovuto rispondere..;)


Watch live streaming video from citofonareadinolfi at livestream.com

sabato 24 dicembre 2011

SI RICOMINCIA

E' da un po' che, per me, il Natale coincide con l'Anno Nuovo o, quantomeno, con la scadenza di un Anno.
Ne passa uno, un altro ancora e via così..
Passano talmente in fretta, gli anni, che a venticinque appena compiuti mi sento vecchia, sento che fra poco ne avrò trenta, poi quaranta, poi Clara sarà donna a sua volta..e io non avrò che il ricordo di averla partorita da giovane, il ricordo di avermi fatta ridere tanto (perché è così buffa che farne un fumetto sarebbe troppo poco), di averla vista crescere senza accorgermene.
Ecco, il mio proposito primo per l'anno venturo sarà quello di fare attenzione ad ogni minimo evolvere di mia figlia, ad ogni gesto e ad ogni suono che emetterà in più.
Senza tralasciare nulla, che a "non ricordare" ci vuole un attimo..basta non accorgersene.


Auguro un buon anno nuovo a voi che leggete queste poche righe e a tutto il mondo, comunque.

mercoledì 2 novembre 2011

IL BIG BANG

Il dubbio, comunque, è questo: Gori lascia Magnolia per seguire Renzi?
E per fare cosa?
Perché "Non è più tempo di perseguire solo i propri obiettivi privati" ?!


O forse è che ha sentito nell'aria che qualcosa potrebbe andare peggio/male e, quindi, ha ben pensato di avvicinarsi a chi di "migliore" l'Italia offre come proprio futuro?!

lunedì 31 ottobre 2011

Spia



DAGOSPIA.COM mi fa sempre ridere, o almeno sorridere.
Sarà il sarcasmo "un po' così", saranno gli epiteti, i nomi storpiati, non so.


Fatto sta che mi diverte e fa riflettere più di ogni altra testata online.
E', ad oggi, la cronaca raccontata in modo tagliente a destra, al centro e a sinistra.
Senza fronde, senza peli sulla lingua.
E' l'unica pagina web che consulto quotidianamente e più volte al giorno perché, al di là del sarcasmo, mi appare come quella più esauriente.


Giudicate voi.

mercoledì 21 settembre 2011

Dialogo fra italiani

Perché ti sei vestita così?
Perché vado a un funerale.
Oh, mi dispiace! Un parente, un amico?
No, guarda..è un'amica che abbiamo in comune.
Oddio non ne so niente! Ma chi è?!
E' l'Italia.

sabato 17 settembre 2011

Imitando D di Repubblica

Ti reincarni in un uomo, la prima cosa che vorresti sperimentare? Il potere di un uomo ricco.
Cosa ti piace di più nel corpo di un uomo? La fronte, e le braccia.
Quanto conta il sesso nella vita? E' un di più non irrilevante.
Come ti rilassi? Guardando fuori dalla finestra.
L'ultima cosa che fai prima di dormire? Spengo la luce.
Cosa ti tiene sveglia la notte? La gelosia.
Sei mai andata da uno psicanalista? Sì.
Cosa mangi a pranzo la domenica? Pasta o carne.
Cosa c'è sempre nel tuo frigo? Verdure lesse e brodino, che sono per Clara.
Cosa non indosseresti mai? Se esco con il mio uomo, qualcosa che non gli piaccia.
Beauty: mai senza... Kajal.
Il senso più importante? Il tatto.
Fai sport? Ne ho già fatto tanto. Adesso cammino, e gioco con Clara, uno sport pure questo.
Sei felice? Direi di sì.
Se non facesse male, con cosa ti consoleresti? Con la "vita spericolata".

mercoledì 14 settembre 2011

Quasi mia la città

E poi, è vero, detesto la scomodità di Roma.
Anche se mi piace attraversarla e rendermi conto di come la mia percezione della città sia cambiata rispetto alle prime volte che ci sono venuta, da sola, per incontrare Mario.
Mi ricordo Piazza del Gesù, per esempio.
Non sapevo nemmeno da che parte fossi girata.
E il tragitto da Termini a casa mi sembrava un groviglio di vie inestricabile, quando in realtà è solo via Nazionale, tutta dritta.
Ad ogni angolo ero convinta di essermi persa, ogni piazzetta incontrata mi sembrava nuova anche se c'ero passata pochi minuti prima.
Forse ero distratta e la città in sé non mi importava molto.
Non so.
Ma è bello, adesso, spere dove mi trovo.
E paragonare tra loro le due percezioni esperite di uno stesso luogo mi emoziona, e mi rende ancora tollerabile il girone infernale di lungoteveri intasati la mattina, di tamponamenti e code chilometriche tra il traffico.

martedì 26 luglio 2011

San Lorenzo

Il punto è capire se Renzi, con la sua trovata, voglia solo provare a sfidare le precedenti amministrazioni di Firenze, cercando di fare ciò che era passato per la testa ad altri ma che non era mai stato fatti.
Oppure se la città abbia un fondo disponibile tale da essere speso in modo così effimero o se, in ultima, Renzi abbia (ma è il clima di queste giornate politiche" che me lo fa supporre) una cerchia di amici tra architetti e restauratori, e quindi stia cercando loro un impiego. Appunto in San Lorenzo.




Vabbè, non lo so.
Io sono d'accordo con Antonio, sempre (togliendo l'episodio di quel crocifisso di Michelangelo...).
L'unica cosa sensata è la decisione di far scegliere ai cittadini, tramite referendum, se intraprendere i lavori di completamento nella facciata della basilica o meno.

lunedì 6 giugno 2011

Piccole donne crescono

Se dovessi veramente provare a descrivere questo primo anno di vita, che sta andando a concludersi, insieme a Clara forse non troverei le parole.
O forse ne troverei, ma risulterebbe un collage di stati d'animo, non riuscendo a legarli insieme fra loro in frasi di senso compiuto per il troppo stupore.
E' questa la parola che, comunque, lega tutto.
Aveva ragione l'ostetrica che ha tenuto il mio corso preparto: la donna tende a dimenticare, annullare i momenti del parto, specialmente il dolore. Si attiva una sorta di anestesia nel tempo per la quale, anche nell'eventualità di un secondo parto, si rivive tutto come per la prima volta.
Perciò non si ricorda bene, o si ricordano solo momenti, istantanee della memoria. Non si ricordano esattamente gli stati d'animo, le sensazioni fisiche.
Io per ricordare bene la nascita di Clara devo guardare le fotografie. E anche questo, purtroppo, non basta a restituirmi le sensazioni di quei momenti.
La normalità con cui l'ho vista uscire dal mio corpo, con cui l'ho addormentata per la prima volta, con cui ho fatto tutto quello che c'era da fare.
Normalità, perché il figlio che partorisci è subito tuo, è qualcosa che hai incubato nella pancia e nella testa per nove mesi, è qualcosa che quando lo vedi, al di là delle aspettative, sai che sarebbe stato così, assomiglia comunque all'idea che ti eri fatta di lui.
E' una normalità, però, ricca di stupore. Perché pur vivendo tutto come se fosse (ed è) normale, ogni gesto che questo figlio compie, ogni sguardo che ti rivolge, ogni minimo progresso che fa quotidianamente è una meraviglia. E' una novità per te e per lui.
E io mi ritrovo adesso che Clara ha quasi un anno, e la vedo compiacersi e meravigliarsi dei primi passi che riesce a compiere, della gioia e dell'orgoglio che prova nel sapersi muovere in modo quasi autonomo. Mi ritrovo a sbellicarmi dalle risate quando, al suono di qualsiasi nota musicale, lei comincia a ballare agitando braccia e culetto.
Ed è, appunto, un continuo stupore.


Fra due giorni compirà undici mesi.
E' proprio una piccola donna, ormai.
Auguri amore mio, mille di questi mesi.

martedì 17 maggio 2011

Bestie insaziabili e cavernicoli

Sono d'accordo con Bernard-Henri Lévy, con queste sue parole (oggi sul Corriere della Sera): nulla al mondo autorizza a dare così un uomo in pasto ai cani.
Non sono d'accordo, invece, quando il filosofo se la prende con il giudice del caso, che ha abbandonato Strauss-Kahn alla folla dei cacciatori di immagini, fingendo di pensare che fosse un imputato come un altro.


Allora, è vero che nessuna persona al mondo sospettata di reato (e quindi senza certezza della sua colpevolezza) andrebbe trattata ed esposta così, come succede oggi, evidentemente un po' ovunque.
C'è l'ultimo caso di Strauss-Kahn e ce ne sono parecchi in Italia, riguardanti gente più modesta e semplice, comunque in diritto di difendere la propria dignità fino all'ultimo. Penso, per esempio, a Sabrina Misseri o al marito di Melania (la donna uccisa in un bosco da non si sa chi).
Persone su cui cadono sospetti non provati, che vengono giudicati e marchiati a fuoco per il resto della vita anche se non si ha certezza di un loro coinvolgimento nei reati che li tirano in ballo.
Questo è sbagliato, non c'è discussione. E' un dramma per la vita di chi si trova nella loro situazione perché, quando e se si dovesse provare la loro innocenza, non cambierebbe nulla: rimarrebbero quelli del delitto/stupro di...


Non sono d'accordo sul trattamento da non comune imputato che Lèvy chiede per il suo amico. Forse se ci fosse più rispetto per tutti, anche per chi è sospettato di atti osceni, non si richiederebbe un differente trattamento a seconda dello status sociale.


Ma questo non c'entra con il fatto che io non creda alla cameriera del Sofitle di New York, che probabilmente non è scema e si è inventata tutto, forse addirittura dietro un lauto compenso.

venerdì 6 maggio 2011

La Natura ci distruggerà

Al liceo mi innamorai del Dialogo della Natura e di un islandese.
Testo non fu mai più adatto a ogni gradino di "sviluppo" umano.
Oggi, su Venerdì di Repubblica, quel vecchio di Giorgio Bocca ci vuole raccontare che, quando anni fa andò in Valle D'Aosta per comprarvi una casa, fece la brillante osservazione che "stanno cementificando tutto, fra un po' non ci sarà più un angolo di verde".
Bravo Giorgio.
L'amico economista che lo accompagnava nella trasferta valdostana gli fece notare che lui, Bocca, altro non era che sul luogo per, appunto, comprarsi una casa, fatta dello stesso cemento che andava contestando.
Nel corso dell'articolo, poi, Bocca farnetica, domandandosi il perché delle tante potenzialità di coscienza regalate dal buon Dio alla specie umana.
"Se tu dici che la scienza e i suoi frutti sono mortiferi per l'uomo, che hai fatto a tua immagine e somiglianza, perché li hai coltivati nel giardino dell'Eden provocando la tentazione di assaggiarli?", si chiede il nostro giornalista.
E, poi, condanna pure la scienza, che con gli ultimi incidenti atomici si è rivelata un inganno per l'umanità stessa.
Fino a concludere che "l'ignoranza dell'uomo è di quelle che neppure Dio può rimproverargli: è stato lui a permetterla e a coltivarla".


Va bene, Giorgio Bocca è vecchio, forse non rilegge i suoi articoli.
Ma questo è uno di quelli fondato sul nulla, si contraddice da solo.
Anche chi non crede sa che la presenza dei frutti del peccato, nell'Eden, erano una prova che, miseramente o no, L'Uomo e La Donna non hanno superato.
Da lì a giustificare lo sfacelo che si sta compiendo su tutto il territorio mondiale (perché, per una volta tanto, quello ambientale non è un problema solo italiano) ce ne corre.


Rileggete il Dialogo, fatelo leggere ai vostri figli. Leggilo pure tu, Giorgio.

No child born to die


Qualche giorno fa avevo la tv accesa mentre giocavo con Clara.
Hanno trasmesso questo spot di Save The Children, e io mi sono messa a piangere.
Quando Clara ha visto sullo schermo quella bimba, Asha, le ha teso le braccia e ha cominciato a salutarla, come fa con tutti i bambini che vede e incontra.
E io mi sono messa a piangere, perché Clara se ne stava lì a giocare sul letto con me, mentre Asha e altri milioni di bambini muoiono come fosse niente.
Con 9 euro al mese si può fare già qualcosa.
Non voglio fare pubblicità, ma questo tema mi ha sempre toccata profondamente.
Sembrano stupidaggini, ma 9 euro mensili sono la "rinuncia" a nove caffè in un mese per noi, mentre per quei bambini sono acqua potabile, cibo e cure.
Basta poco.

mercoledì 4 maggio 2011

Impressioni di maggio

Ieri siamo tornati dalla vacanza post-pasquale a Sanremo.
Sanremo la nostra, quella del sole, del vento e di un lungomare tranquillo.
Una vacanza costruttiva per Clara, giorni in cui è cresciuta tantissimo.
C'è stato il Primo Maggio, di mezzo. Un primo Primo Maggio con Clara fra le braccia.
E, di Primo Maggio, lei ha fatto il suo primo bagno in piscina. Un doppio bagno, per l'esattezza: uno con salvagente e uno aggrappata a mamma e papà.
Io, da parte mia, ho festeggiato salutando il ritorno del ciclo mestruale dopo mesi, dalla volta di quel famoso capoparto.
Mamma mia che barba, si stava così meglio senza.


Nel frattempo sembra sia morto Bin Laden. Io non so, nemmeno vedendo ci crederò..
La cosa che più mi infastidisce è la stupidità americana dei festeggiamenti.
Che festeggiano? Son tornati in vita, per caso, i loro morti dell'11 settembre?
Poi qualcuno mi ha ricordato che, comunque, gli americani sono quelli della pena di morte, quelli che assistono alle esecuzioni e poi brindano, manco avessero assistito alla cresima della nipotina, tanto per dirne una.
E allora a me fa schifo, posso dirlo?
E' una cultura che mi disgusta spesso, quella americana.
E questa volta non hanno perso occasione.

sabato 30 aprile 2011

They Love Reality

Le uniche cose divertenti, se poi così si può dire, dello sposare un reale non avendo origini (e tradizioni) nobili sono:
 a) che nelle foto della cerimonia sembrerai Cenerentola, proprio come nel cartone animato che guardavi da bambina. E ti divertirai per questo, perché penserai "caspita, l'ho fatto pure io";
b) i quattrini a disposizione. Ma su questo punto andrei un po' più cauta..perché, dopo la conoscenza del patto prematrimoniale, non so quanto Kate Middleton sarà libera di spendere (e farsi gli affari suoi);
c) ultimo, ma non meno importante, il fatto che i due possano davvero amarsi.
Che, poi, si fa sempre fatica a dire, in questi casi, che lei possa davvero amare lui.
Cioè, lei è inglese, lui è il futuro Re d'Inghilterra, con uno stuolo di ragazzette pronte a "prenderselo" in sposo..figurarsi se lei, una volta sentito l'interesse suo, possa veramente aver pensato di tirarsi indietro, per un qualsiasi motivo.
Ma chissà, magari si amano davvero. O lei è un'opportunista fortunata, tra tante: la storia del picco d'iscrizioni all'Università Saint Andrews, da parte di ragazze, dopo la notizia che William si sarebbe iscritto lì, fa veramente ridere.
Fa ridere salvo, poi, come diceva bene e male (perché dava all'idea un'impronta troppo maschilista) ieri Sallusti a Pomeriggio Cinque, far riflettere sul fascino e sull'aura magica che ancora la monarchia (dove ha una qualche importanza) esercita.
Reagala quell'atmosfera da, appunto, Cenerentola o Bella addormentata nel bosco che, nell'immaginario collettivo di madri e figlie, funziona eccome.
Così vi auguro buona Kate a tutte, confessando che, un matrimonio come quello, l'avrei odiato (e di certo l'avrà odiato pure la vera Kate, se è normale) dal profondo.

venerdì 22 aprile 2011

Pansa, ripigliati

L'articolo di Gianpaolo Pansa apparso ieri su Libero mi ha fatta rimanere, non esagero, basita.
Parla della nomina a direttore de Il Riformista per Macaluso, 87 anni.
Pansa, di anni, ne ha 76.
Questo arzillo signore racconta, nel suo articolo, la gioia e il divertimento per il dato anagrafico.
Racconta ai giovani, soprattutto a quelli che vogliono lavorare nel campo giornalistico, che l'età è un formidabile fattore di forza.
Fa piacere sapere che, alla loro età, Pansa, Macaluso & Co. si sentano così in forma.
Fa scandalo, dal mio punto di vista, leggere un articolo simile e potersene dire d'accordo.
Pansa denuncia/racconta con gioia e divertimento dati che, a mio avviso, non lasciano che sconcerto.
Perché ci dice che solo loro, quelli attempati, possono permettersi la libertà di vivere il loro mestiere come preferiscono. Solo loro possono permettersi di dire ciò che pensano.
Solo loro hanno la capacità e la possibilità di non servire un padrone, di rendere libere le loro idee appunto perché attempati e di conseguenza ormai affrancati da qualsiasi servilismo.
Dovrebbe essere stato scritto con spirito di denuncia, e non come allegra presa di coscienza di uno stato delle cose che contribuisce alla crisi lavorativa (e non solo) dei giovani, nello specifico di giovani giornalisti.
Che rilegga il suo articolo e si faccia un esame di coscienza.
Perché se un giovane giornalista non ha possibilità di raccontare una sua idea è anche per colpa di vecchi tromboni della sua generazione.

mercoledì 20 aprile 2011

Alla fine sei, comunque, simpatico

Che, poi, dico la verità..ieri sera, guardando il servizio/carrellata sulle ultime uscite di Silvio, a Ballarò, abbiamo proprio riso. (Soprattutto con l'ultima parte del servizio).



sabato 16 aprile 2011

Future in the past

Gianni Morandi diceva restiamo uniti, Vittorio Arrigoni diceva restiamo umani.
Io sintetizzo con un restiamo umili.
Di fronte a tutto e con tutto.
Va bene la scienza, ok la tecnologia,  alla volontà di potere. Ma non andiamo oltre i limiti, oltre le nostre possibilità di (appunto) esseri umani.
In un momento epocale come questo il mondo ha bisogno di rimanere tale: un mondo.
Senza confini, con la volontà di plasmare le disuguaglianze, di distribuire le potenzialità, di pensare al bene proprio quanto a quello altrui.
Non è un gioco, è la vita.
In ballo ci sono le risorse fondamentali a mandare avanti questo mondo, ci sono le vite di migliaia e milioni di esseri umani come noi, c'è il nostro (del mondo occidentale) futuro stesso.
Vale la pena giocarselo per meri interessi economici di pochi, rispetto al mondo?
Restiamo umili è il monito.
Sono banale? Lo so.
Ma non lo si è mai abbastanza fino a quando chi ha potere non lo usa a dovere.

venerdì 15 aprile 2011

Vergogna.

Allora, ho accompagnato Clara all'asilo per il quarto giorno.
Lì va tutto bene e non è di questo che voglio parlare.
Sono tornata a casa e ho acceso il pc, sono andata sul Repubblica.it e mi è venuto da piangere.
La pagina online si apre, ovviamente, con la notizia della morte del povero volontario pacifista italiano, Vittorio Arrigoni, rapito da un commando di estremisti a Gaza.
Subito sotto inizia la sfilza di "notizie" riguardanti il bunga bunga di Berlusconi, con quelle ultime due oche che si dicono, adesso, scandalizzate per il bacio alla statuetta del dio Priapo e altro ancora.
Mi è venuto da piangere perché non è possibile l'accostamento o, perlomeno, non è più tollerabile.
L'accostamento tra disgrazie e disperazioni reali, tra racconti da una parte di mondo che vive momenti apocalittici, che non sa come uscirne e, dall'altra parte, le vicende di un vecchio porco che, lo spero, almeno nella sua intimità e solitudine inizi a faticare a sopportarsi da solo.
Non è possibile continuare, dopo mesi e per chissà quanto altro tempo ancora, a leggere e dare ugual rilevanza (se non maggiore) ai battibecchi tra lui, Fede e un marasma di zoccole (che, per carità, avranno fatto le loro scelte da libere donne, ma a me non interessano).
E' inaccettabile non approfondire la gravità e la drammaticità dei fatti di Gaza e dei paesi del Nord Africa, per esempio. E' inaccettabile che di fronte a drammi mondiali e a popolazioni disperate qui, in Italia, non si parli praticamente d'altro che di un vecchio pervertito, che se fosse anche solo un po' meno ricco verrebbe (lo spero) sfanculato anche dai suoi camerieri.