giovedì 16 febbraio 2012

La fotografia della vita che conta

Ho scritto queste poche righe qualche giorno dopo aver conosciuto Giada Paolini e le sue opere.
In occasione della sua prossima personale le rispolvero, perché ancora valide.

Giada Paolini è una autoartista. Conio per lei il termine, perché altra parola non sarebbe più giusta.
Questo può essere detto in introduzione al suo lavoro e per raccontare il suo percorso nel campo della fotografia.
Si avvicina al mezzo non prima del 2009, andando a completare da autodidatta un portfolio interamente composto da autoscatti: una raccolta comprendente unicamente fotografie in autoscatto, da leggere in chiave autobiografica. Una raccolta che, quindi, altro non è se non un racconto della sua storia, della sua vita dalla nascita ad oggi (con i suoi venticinque anni) che balla sul filo delle emozioni.
Sono queste, le emozioni, che Giada ha scelto come filo conduttore per raccontare e regalare al pubblico, con il mezzo fotografico, l’ingombrante bagaglio emozionale che porta con sé.
Vi si trovano rappresentati gli stati d’animo che tutti noi, ognuno a modo suo, siamo portati a sperimentare lungo il percorso di vita. Dal dolore alla rinascita, passando attraverso un inevitabile purgatorio.
Giada presta il suo corpo e la sua faccia a questa causa.
Ci si mostra velata negli scatti del dolore, ci si para davanti vestita da dama nella cornice esclusiva di ruderi e rovine, cimiteri e luoghi vacui, vuoti, distrutti, con un passato alle spalle e pregni di storia e vita vissuta. 
"Se si smette di guardare il paesaggio come prodotto dell’attività umana, subito si scopre una quantità di spazi indecisi, privi di funzione sui quali è difficile posare un nome. Questo insieme non appartiene né al territorio dell’ombra, né a quello della luce. Si situa ai margini" ha detto Gilles Clements.
Giada racconta il suo percorso e la sua rinascita anche sfruttando sapientemente sfondi metafisici.
Il riferimento ad opere pittoriche è casuale. Ma insegna quanto, la pittura, possa avere influenza sull'immaginario collettivo. Lungo la sua produzione si scorgono, invece, diversi allacci alla filosofia antica e moderna. Il suo lavoro di artista svolto da un’unica e determinata prospettiva, analizzando l’oggetto della sua arte da uno solo degli infiniti punti di vista possibili, come ci avrebbe raccontato Platone.
E, quindi, la particolarità della sua opera è esattamente il prestarsi, lei stessa, a divenire oggetto delle sue rappresentazioni, facendo emergere i suoi stati d’animo e lasciando che questi, poi, si donino alle più svariate forme di interpretazione da parte di chi osserva.
In secondo luogo, un senso profondo del lavoro di Giada Paolini si riconosce ampiamente nel filone del discorso di Charles Taylor circa l’esistenza di una svolta espressiva (expressivist turn). Pensiero per il quale il cammino di armonizzazione inizia con l’ascolto di una voce interiore, così da riuscire a trovare la propria verità nei propri sentimenti e, attraverso la verità, riuscire ad esprimere noi stessi.
Ecco, l’introspezione e la presa di coscienza di Giada Paolini coincide con l’idea di Taylor secondo cui il Sé, nella sua riscoperta, altro non è che il nucleo del divenire dell’essere umano.
Guardate, immedesimatevi e servitevene tutti: vi ritroverete, attraverso i suoi scatti, nel pieno della vostra intimità, come se veniste colti a sorpresa mentre fate il bidet.
Inaugurerà presso Famiglia Margini, il 3 marzo 2012, la sua prossima personale:
DENTRO L'ANIMA 


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