Rilke ha detto che loro sono di una solitudine infinita.
E, infatti, aveva ragione.
C'è un malloppo di tele, qua.
Sono sette, otto, non lo so più.
Dovrei solamente contarle, ma ora non ho tempo.
Hanno raccolto un po' di polvere in questi anni, e mandarla via non sarà facile.
Alcune non mi dispiacciono affatto, perciò mi stupisco non ricordando il motivo per cui sono rimaste incomplete.
Ci sono teste, mani, capelli. Grovigli di mani e intrecci di capelli.
Perché mi piaceva molto Klimt. Mi piacevano le figurazioni da Secessione viennese, così ne ho prodotte una serie, figurazioni tutte dello stesso tipo.
Le mani alla Klimt, i corpi in volo su nuvole e arie di gessetto.
Alcune traboccano di colori, altre sono solo seppia.
Mi chiedo ancora il perché dell'incostanza che me le ha fatte accantonare dietro a un armadio. Eppure di sentimenti ne ero piena anche allora.
Forse, poi, avevo trovato altro da fare, chissà.
Ora, stavo pensando, sarebbe bello ricominciare.
Ok, chiudo questo benedetto ultimo esame che mi è rimasto per la laurea e trovo il tempo per ricominciare, e ombreggiare quei volti, chiudere i contorni di quelle schiene, dare volume a quelle natiche, regalare una brezza nuova a quelle atmosfere, marcare le sinuosità dei fisici e la sensualità di quelle giovani attorcigliate.
Gli occhi (quei pochi che non ho ridotto a incavi come quelli di Wildt) sono quasi tutti persi, alcuni osano spingersi a guardare un po' più in là, sorretti da colli impegnati in torsioni verso l'indietro, dove ci sono le case all'Estaque che bruciano di rosso.
Devo assolutamente spolverarle, queste tele.
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