BONITO OLIVA: “L’INGRESSO DEI PRIVATI NEI BENI CULTURALI LO PROPONGO DAGLI ANNI ‘70”
Una panoramica del critico d’arte sullo stato attuale del patrimonio culturale italiano e sull’evento d’arte contemporanea più importante in Italia: Arte Fiera di Bologna.
Achille Bonito Oliva è il critico d’arte a 360°, per avere inventato e curato un centinaio di esposizioni (l’ultima e di gran successo a Milano presso Palazzo Reale, “Transavanguardia italiana”, fino al 4 marzo 2012), per avere ideato e teorizzato il movimento stesso della Transavanguardia definendolo “aperto verso una posizione di superamento del puro materialismo di tecniche e nuovi materiali, approdato al recupero dell’inattualità della pittura, intesa come capacità di restituire al processo creativo il carattere di un intenso erotismo, lo spessore di un’immagine che non si priva del piacere della rappresentazione e della narrazione”.
Il maestro Bonito Oliva è intervenuto al Bollettino dell’Arte (in onda sul canale Livestream di Citofonareadinolfi), intervistato da Silvia Pardolesi.
Il ministro Lorenzo Ornaghi ha recentemente dichiarato che i beni culturali sono un elemento determinante nel nuovo modello di sviluppo che il governo Monti sta elaborando. Al momento, però, di strategie proprie in questo settore non si è ancora fatto cenno. Crede che esista un ritardo di intervento in materia di beni culturali?
Sono buone intenzioni che vanno, per il momento, rispettate. È chiaro che il nostro petrolio sono i beni culturali: la nostra materia prima. Lo si sa da decenni. E direi che la trasparenza morale di questi uomini che formano il governo Monti ci deve aiutare ad avere ancora un momento di pazienza per aspettare qualche risultato che sicuramente verrà. Perché la buona intenzione c’è ed è chiaro che sia l’unica strada percorribile.
Ornaghi ha, comunque, specificato anche l’indispensabilità del coinvolgimento di privati e, quindi, la cooperazione tra Stato, realtà associative, fondazioni e privati nella tutela e gestione del patrimonio culturale. Qual è il suo pensiero in merito?
Io ho cominciato a praticare ciò negli anni settanta, con Graziella Lonardi. Abbiamo costituito una struttura privata, abbiamo interagito con il pubblico. E da allora abbiamo organizzato grandi mostre a livello mondiale sul contemporaneo, quindi in Italia e ance all’estero. All’inizio venivamo guardati con sospetto, da chi vedeva nel privato cattive intenzioni ma adesso finalmente anche le istituzioni si sono adeguate e anche la sinistra del paese è diventata più liberale.
L’esempio dell’annunciato restauro del Colosseo, con i 25 milioni di euro offerti da Diego Della Valle, non è da considerarsi una semplice sponsorizzazione ma un vero e proprio impegno civile di un imprenditore e cittadino italiano. È d’accordo?
È chiaro che è un impegno virtuoso, che va lodato e incoraggiato sostanzialmente.
Parliamo del caso Pompei. Esiste per il sito archeologico un finanziamento di 105 milioni che dovrebbe arrivare dalla Comunità Europea. Crede che i soldi arriveranno davvero o accadrà come per il Museo Riso di Palermo, il cui finanziamento europeo è rimasto intrappolato nelle trame della burocrazia?
Diciamo che sono problemi diversi perché Pompei non è un semplice bene archeologico ma è una città archeologica, quindi con problemi molto più complessi e vasti, problemi che vengono da lontano e che non riguardano solo il territorio ma tutta l’umanità. Sicuramente i soldi della Comunità Europea credo che arriveranno per un senso di responsabilità. Per quanto riguarda gli altri musei, il Riso di Palermo ma anche il Madre di Napoli, il discorso è politico, quindi vi si applica un’alternanza senza avere personale adeguato. La destra non ha il personale adeguato per collocare propri uomini a diregere musei d’arte contemporanea sia perché non crede nell’arte contemporanea stessa che perché non è nella sua mentalità. Il discorso si fa così più drammatico perché sono soluzioni da cui poi dipende la continuità della politica culturale o la limitazione di sperimentazioni che anche nel sud avevano preso piede.
Quindi esiste un prezzo che l’arte paga, forse troppo spesso, alla politica? Non si riesce mai a capire quali e quante siano le risorse e le possibilità proprie a valorizzare e a far funzionare quello che lei ha definito “il nostro petrolio”: il sistema dei beni culturali in Italia. Da una parte c’è incompetenza nella gestione dei fondi (spesso sprecati) e dall’altra una guerra che la politica si fa sull’arte…
Esiste questa guerra alla ricerca di politicizzare ogni cosa, ma per un desiderio di occupare gli spazi e non per amore della cultura.
Riguardo al progetto Grande Brera, ormai discusso da 35 anni con sempre nuove battute d’arresto, pensa possa essere emblematico di un diffuso e errato modo di lavorare e sfruttare adeguatamente quello che lei ha definito “il petrolio dell’Italia” e, quindi, il patrimonio artistico e culturale?
Sì, si costruisce poco. Si fa molta edilizia, speculazione edilizia e si fanno molti condoni. Ma quando si tratta di costruire il nuovo con concorsi internazionali trasparenti, anche vinti con proposte valide, ci sono tempi lunghissimi, davvero imbarazzanti.
Una realtà felice e che funziona, invece, nel panorama italiano dell’arte contemporanea è la kermesse Arte Fiera di Bologna (dal 27 al 30 gennaio). Manifestazione nella quale, dal 2007 e per tre anni, proprio lei ha gestito uno stand, lo “stand del critico”.
È stato un momento, nella Fiera, in cui io esponevo le mie idee critiche, dialogavo con gli artisti. Quest’anno sarò lì solo domenica 28 al MAMBO (Museo d’arte moderna di Bologna) alle 18, per presentare un film sulla Transavanguardia italiana e il catalogo (edito da Skira) della grande mostra “Transavanguardia italiana” (ora in corso, fino al 4 marzo, a Milano presso Palazzo Reale) che sta avendo grande seguito, tanto che il catalogo è stato dovuto ristampare. Quindi sarà un’occasione anche di riflessione con critici, curatori e un filosofo, in concomitanza con Arte Fiera che, speriamo, segni una battuta di ottimismo in questo momento di crisi anche del sistema dell’arte.
Sul numero speciale de L’Europeo (in questi giorni in edicola con il Corriere della sera), un numero dedicato interamente all’imminente edizione di Arte Fiera, lei ha dichiarato che nella crisi rientra pienamente anche il collezionismo, non solo dal punto di vista economico ma anche psicologico.
Tutto il sistema dell’arte, in tutti i suoi soggetti e in tutti i suoi passaggi, risente della crisi, è naturale. Però il grande collezionista non viene toccato: va, per esempio, a Basilea, ha contatto diretto con l’artista e riesce a lavorare con altri parametri e mentalità. In ogni caso la Fiera di Bologna è utile: crea contatti, scambi. È un appuntamento internazionale che, secondo me, crea contatto ed elimina ogni solitudine possibile. Insomma, l’arte serve a massaggiare il muscolo atrofizzato della sensibilità collettiva e a restituirci la speranza. Perché, come diceva Baudelaire, “la bellezza è una speranza di felicità”.
Tre buoni motivi per visitare, nei prossimi giorni, Arte Fiera?
Uno perché ci vado io! Due perché si inaugura una bella mostra di un grande artista, Marcel Broodhaers (dal 26 gennaio al 6 maggio, al Mambo di Bologna). Tre perché, stando a Bologna, a Modena e Prato (non troppo distanti) c’è modo di visitare le due mostre che accompagnano la Transavanguardia. A Prato, appunto, c’è la mostra di Nicola De Maria (“I miei dipinti si inchinano a Dio”, Museo Luigi Pecci) e a Modena c’è Sandro Chia (“Sandro Chia, opere dipinte, disegni e sculture”, ex Foro Boario).
“A Bologna, come ormai in tutte le Fiere, ci sono eventi collaterali- aggiunge Bonito Oliva –con Palazzi storici che si animano, con una certa energia. Bologna, poi, è una città aperta, cordiale e garantita da una figura come quella di Silvia Evangelisti (direttrice di Arte Fiera) che, secondo me, ha dato slancio alla Fiera di Bologna”.